Svelata la bella Paolina

Ci sono sempre innumerevoli motivi per parlare di Antonio Canova: si potrebbe incominciare dal più semplice, il Canova-scultore, oppure il Canova-pittore, o della sua poco conosciuta ma importantissima missione in terra di francia per il recupero delle opere italiane all’ indomani della caduta di napoleone o per il fatto che nel 2007 ricorse il 250° anniversario della nascita (1° novembre 1757) oppure perché, come anticipa Maurizio Bernardelli Curuz, direttore di ‘ Stile Arte’ (in edicola a luglio 2007), si è fatta luce su una inconfessabile scoperta.

Partendo dalla scultura canoviana che più ha fatto discutere all’ epoca come oggi, dall’opera più ammirata, più invidiata, emblema della bellezza venusiana vincitrice, è emerso che lo scultore effettuò un calco dal vivo per il seno della immortale Paolina Bonaparte. <<il calco dal vero consiste nell’apposizione diretta del gesso sul corpo o sul volto della persona da effigiare. In questo modo é possibile ottenere una forma perfetta, fotograficamente identica al soggetto reale.

Ma come provarlo, a fronte di un’ assoluta mancanza di documenti?>>. Bernardelli Curuz entra nel dettaglio:<<tutto è iniziato con un indizio di natura poliziesca – dice Bernardelli Curuz -. davanti a me, al Museo napoleonico di Roma, il calco del seno di Paolina Bonaparte. Il seno è piccolo e splendido; mostra la compattezza del petto della giovane donna. il gesso evidenzia da un lato la morbidezza dell’epidermide e, dall’ altro, il sano peso specifico che, per lieve gravità, incurva la materia elastica, nella parte inferiore del morbido emisfero. non è, insomma, il seno convenzionaledella statuaria greca, legata all’ evocazione di un perfetto, platonico, ideale di donna. ha qualcosa di fenomenico, cioè, di concreto, di scarsamente idealizzato, per quanto la forma sia sublime>>.

Ma c’ é di più: <<e’ il capezzolo – prosegue il direttore – ad essere il centro, non soltanto anatomico, che irradia l’ indizio sul quale si deve lavorare. L’ estremità apicale della mammella di Paolina presenta ciò che dobbiamo considerare come un’ illuminante difformità. il seno mostra infatti lo schiacciamento della parte superiore della massa e una compressione laterale-superiore del capezzolo stesso che, sotto un peso invisibile, muta la propria forma cilindrica in una figura che rinvia vagamente a un irregolare tronco di cono. La parte frontale dell’ estremità del seno, che normalmente ha una forma circolare, essendo parte superiore del cilindro, è invece piegata su se stessa al punto da costituire la formazione di due labbra socchiuse. il motivo di quella compressione – conclude il critico – è spiegabile proprio dal gesso che provocò l’ effetto maglietta bagnata. Ecco spiegato,  quindi, il sospetto che Canova abbia compiuto il rilievo per il ritratto marmoreo di Paolina nella posa di Venere vincitrice (1804- 1808), stendendo direttamente gesso stemperato in acqua sul torace della sorella di napoleone>>.

Ma facciamo un passo indietro, all’ incirca nel 1804 e togliamo un altro velo. Chi commissionò la tanto discussa statua? Secondo i biografi tale era la spregiudicatezza di Paolina che non ebbe mai nessun imbarazzo ad esibire le sue nudità. Ma in una lettera al consorte, emerge che la frivola sorella dell’imperatore non amò mai quella statua: “Sapendo che accordate a qualche persona di vedere il mio ritratto in marmo, amerei che questo non si facesse atteso alla nudità che tiene un poco all’ indecenza. questo non fu fatto che per solo Vostro piacere. Subito che questo più non esiste, è bene che resti nascosto agli occhi di tutti (gennaio 1817)”. Queste righe scagionano la povera e calunniata Paolina da ogni responsabilità nella realizzazione della statua che ricadrebbe tutta sul marito. Lo dice lo stesso Canova in una conversazione con napoleone del 1810: <<quella famiglia sarà disonorata fino a che vi sarà storia! Vendere capi d’opera di quella sorte! una famiglia così ricca. Una famiglia che il padre aveva speso un tesoro ad accomodare la Villa, la più bella al mondo ed ora data in affitto per gran parte di essa>>.

Camillo commissionò la statua non tanto per amore coniugale ma per risarcire la raccolta di famiglia dopo la folle vendita a napoleone di duecentocinquanta marmi, cancellando tale vergogna con l’ aiuto del divino Canova e usando Paolina. Il risultato è, appunto, divino.
Antonio Baldini in Paolina fatti in là (1924) rese bene l’ idea che suscita ancor oggi la statua: <<Santissimo iddio, bisogna dire tutto? Saliti i due scalini di legno sui quali s’ eleva nel mezzo della stanza il cassone del classico lettuccio, mi son seduto su quel poco di materasso che Paolina lascia a disposizione. “Paolina fatti in là. dammi ancora un po’ del tuo fresco giaciglio. Non ho, tu vedi, dove andare a dormire”. [..] così le ho preso la mano che tiene il pomo del giudizio: e ho sentito distintamente la grana dolcissima della pelle e la buccia liscia della mela e le fossette delicate sul dorso della mano e l’ attaccatura del picciolo nel frutto. E se tenevo chiusi gli occhi e salivo con la mano, non c’ era parte del braccio che sotto le mie dita non rispondesse come vera carne. e quando le passai le mani sul capo, i riccioli mi piovevano tra le dita della nuca rotonda. Quale divino e diabolico artista fu mai Canova!>>.
Ma già i contemporanei rimasero stupefatti dalla assomiglianza fisica, tanto è più che, una volta scomparsa la effigiata, s’ è andata sempre più accentuando questa eccezionale identificazione tra Paolina ed il suo ritratto divinizzato. Scrisse Pietro Giordani nel suo Panegirico ad Antonio Canova (1810): <<e nelle sue statue finisce prima la testa per potere innamorarsi del suo lavoro: perché (soggiunge Canova) non posso lavorare se non per amore>>.

E questo amore lo incise sul marmo e lo trasmise.
Così riportò il foscolo a proposito delle opere del Canova, in particolare della Venere italica: <<io dunque ho visitata, e rivista, e amoreggiata, e ho anche una volta accarezzata questa Venere nuova.[…] ho sospirato con mille desideri, e con mille rimembranze nell’ anima; se la Venere de’ Medici è bellissima dea, questa che io guardo e riguardo è bellissima donna; l’una mi faceva sperare il Paradiso fuori di questo mondo, e questa mi lusinga del Paradiso anche in questa valle di lagrime>>.

Come dargli torto?

[Lorenzo Baldoni]

Fonti
M.f. Apolloni, Canova; coll.Art e dossier n°68, Giunti, 1992.
M. Bernardelli Curuz, Stile arte, luglio 2007. Cfr. anche gli articoli apparsi su internet.
Si ringrazia inoltre fernando Mazzocca.Lettera a isabella teotochi Albrizzi, firenze, 15 ottobre 1812

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