
Durante il periodo 1792- 1815 l’esercito francese, famoso e celebrato per le grandi vittorie e per la stupefacente mobilità, ebbe sempre grandi problemi nell’approvvigionamento di calzature. Le difficoltà cominciarono subito dopo l’approvazione del famoso Decreto dell’Assemblea Nazionale del 12 luglio 1792, firmato da Lazare Carnot, “Citoyen, la Patrie est en danger”, con il quale si chiamava il Popolo ad accorrere alle armi per difendere la Francia dall’invasione alleata e, soprattutto, con la “Levee en masse” (Decreto del 23 agosto 1793). Queste due misure eccezionali e rivoluzionarie, che ebbero il merito di salvare la giovane Repubblica, richiamarono sotto le armi, si stima, circa 700.000 soldati, con tutti i problemi di equipaggiamento che è possibile immaginare. Mancavano fucili, zaini, uniformi e, naturalmente, scarpe. In questa scarsità di mezzi, la quasi totalità dei volontari era quindi costretta ad utilizzare i propri indumenti civili; moltissimi, troppo poveri per potersi permettere un paio di scarpe, utilizzarono anche sotto le armi gli zoccoli, che, ricordiamolo, era il tipo di calzatura più diffuso, specie fra i contadini. Nel corso delle campagne repubblicane – incapace la Nazione di provvedere alla fabbricazione delle calzature – gli eserciti francesi non mancarono di far man bassa dei magazzini nemici sui quali riuscivano a mettere le mani, una soluzione certo molto economica ma anche molto occasionale; più facilmente, i Commissari di Guerra cercavano di acquistare questo come altri beni da fornitori locali, dietro regolare pagamento, che poteva essere corrisposto in assegnati, pagherò o più raramente, moneta contante. Non mancavano anche le requisizioni forzate nelle quali si corrispondeva al requisito una ricevuta che in teoria sarebbe valsa a garanzia di un successivo rimborso. Nei casi più estremi, siamo anche a conoscenza di vere e proprie requisizioni operate dai commissari francesi di manodopera locale da impiegare nei preesistenti laboratori calzaturifici. I risultati di questa operazione furono però poco soddisfacenti, non solo per l’inesperienza di personale raccattato all’ultimo minuto, ma anche perché molti tendevano a scappare alla prima occasione propizia, dato che il compenso era molto basso. Nel corso degli anni, e specialmente durante l’Impero, la situazione migliorò. Napoleone, anche a causa dell’instaurazione del Blocco Continentale, diede impulso all’industria nazionale, mentre ridimensionò considerevolmente la forza dell’esercito, portandolo, almeno sino alla campagna di Russia, sui 250.000 combattenti. I problemi si ripresentarono proprio all’indomani di questa terribile campagna, quando si trattò di armare un nuovo esercito per le operazioni del 1813/14. La scarpa in adozione alla fanteria francese fra il periodo 1792/1815 è sostanzialmente la stessa di quella prevista nel regolamento del 1786. Il regolamento riporta una descrizione piuttosto sbrigativa di questo pur essenziale capo d’equipaggiamento: “Les souliers seront façonnés avec du cuir de la meilleure qualité; la derniere semelle sera garnie de clous à tête plate et large, et dont la pointe sera rebattue et rivec avant que ladite semelle soint cousue; il y aura une semelle intermédieaire entre la premiere et cette dernière; le dernière cuir du talon sera pareillement garni de clous, dont le pointes seront rebattues et rivées avant qu’il soit cousue; le talon n’aura qu’un pouce de haut”. Già sul fatto che dovessero essere fatte con cuoio della miglior qualità, gli stessi soldati, se potessero parlare, avrebbero qualcosa da ridire: molteplici sono le testimonianze che riportano come le calzature dopo circa 350 Km, fossero letteralmente a brandelli, a causa dell’utilizzo da parte delle manifatture private, a cui lo Stato affidava l’appalto del confezionamento delle calzature, di materiali di scarsa, se non pessima, qualità, per ovvie ragioni di risparmio. Ad esempio, il consiglio di amministrazione della 179a mezza brigata scriveva al Ministero che “le scarpe sono di così cattiva qualità che la maggior parte non dura che un solo mese”. Riguardo l’utilizzo dei chiodi, il testo, che pure sottolinea come questi dovessero essere ribattuti sul retro della suola affinchè non si perdessero, non ne specifica il numero né il disegno, che però vengono forniti sulla tavola allegata: per un odierno nr. 42/43 italiano, erano previsti 30 chiodi a testa quadrata per il tacco e 60 a testa tonda per la pianta.

Questo era però un particolare sul quale esisteva una enorme libertà: ad esempio in uno dei pochi paia di scarpe conservate, i chiodi sono disposti solo lungo il perimetro della suola. Erano previste solo tre taglie di scarpe: piccola (da 200 a 230 mm), media (da 230 a 270 mm) e grande (oltre 270 mm). Troviamo dati più precisi riguardo le dimensioni nel §5, art. 15 del “Regolamento 1° luglio 1807 sull’Amministrazione e Contabilità dei Corpi” del Regno d’Italia, che letteralmente recita: “Tomajo: di dietro in due parti eguali, ciascuna di vacchetta o corame rovescio; altezza 5 pollici 9 linee” e di dietro, riducendosi dove cominciano i cinturini, a pollici 2 e 4 linee davanti idem; lunghezza 7 pollici; larghezza 7.9, riducendosi all’estremità (alla punta) pollici 1 e 8 linee. Fondo: tallone lungo 3 pollici 2 linee, largo 3 pollici 3 linee, alto 10 linee; pianta lunga 7 pollici 10 linee, larga 3 pollici e 9 linee in mezzo, riducendosi all’estremità (in punta) pollici 1 linee 10 e mezza. Corame ad uso di Svizzera il tallone e suola, e nostrano il sottopiede, e in mezzo i talloni. Le dimensioni qui contro sono delle parti in opera della scarpa di seconda taglia, la quale intiera debb’essere lunga 11 pollici, dovendo la prima taglia aumentare di 6 linee, ed altrettante diminuire quella di terza”. Per quanto riguarda gli altri particolari costruttivi, in primo luogo dobbiamo osservare che non esisteva una scarpa destra ed una sinistra. Una scelta che se a noi può sembrare curiosa, in realtà è assolutamente logica se si considera che in tal modo la realizzazione della calzatura diventava molto più semplice (cosa non da poco, dato che l’intero processo produttivo era svolto da artigiani) ed economica, senza contare che così il soldato poteva portare nel proprio zaino una sola scarpa di riserva anziché due. Così, ad esempio, un paio di scarpe costava alla Repubblica Cisalpina, nel 1798, 6 Lire, quando però una giberna costava 5 lire e 15 denari ed una camicia 5 lire12: si pensi che all’epoca un addetto comunale di basso rango (come portiere o custode) percepiva annualmente 240 Lire! Altra importante peculiarità era che le poche cuciture erano affiancate e non sovrapposte, non tanto per risparmiare ancora una volta sulle materie prime, quanto per permettere alla scarpa di essere maggiormente flessibile e adattarsi meglio al piede. Le stesse cuciture, poi, erano veramente ridotte al minimo: una in corrispondenza del tallone, due sul fianco, ed un’altra con la quale si applicava un rinforzo di cuoio proprio sul tallone: quest’ultimo particolare non è però universale, nel senso che non tutti i laboratori applicavano questa piccola miglioria. In effetti, per quanto si cercasse di semplificare al massimo il processo di confezionamento, la fabbricazione di una scarpa non era affatto semplice, anche perché, sarà forse banale ricordarlo, tutto avveniva senza l’utilizzo di macchinari. Una volta applicati i chiodi alla suola, lungo il perimetro della suola esterna veniva cucita una fettuccia di cuoio nella quale si infilava il pellame della scarpa vera e propria e la suola intermedia sulla quale veniva applicata, con un’altra cucitura, la suola interna. Il tacco, dello spessore di un pollice era formato da tre diversi strati di cuoio. Eppure, nonostante questi accorgimenti la scarpa rimaneva uno dei capi di equipaggiamento più costosi e per evitare che gli stessi soldati, in perenne difficoltà economica, potessero rivenderle illegalmente ai civili, l’Intendenza, già ai tempi della Rivoluzione, decise che tutte le calzature militari avrebbero avuto la punta di forma quadrangolare, in modo da distinguerle nettamente da quelle civili, che invece avevano una punta arrotondata. La scarpa, interamente in pelle di vacca dipinta di nero, si chiudeva sul collo del piede in due modi: o con una fibbia in ottone, utilizzata normalmente durante la libera uscita tanto dai sottufficiali quanto dalla truppa ed in campagna talvolta dai soli sottufficiali come segno distintivo rispetto ai soldati; oppure, molto più comunemente, con un laccio di lana o cuoio nero. Va sottolineato che tanto la fibbia quanto i lacci insistevano su di una sorta di “lingua”, dalla forma che ricorda vagamente quella della zampa di un palmipede, che veniva ripiegata permettendo, per quanto possibile, di stringere la calzatura al piede. Il comfort di questa calzatura non era elevato; già si è detto dei lamenti dei soldati riguardo la sua precoce usura della calzatura, ma altrettante lagnanze riguardavano la tenuta della scarpa in caso di pioggia, dal momento che l’acqua, nonostante la scarpa dovesse essere ben ingrassata, riusciva facilmente e in breve tempo ad insinuarsi nelle cuciture, rendendo il piede zuppo. Di più, si tratta di un tipo di scarpa che non calza completamente il piede (il cuoio all’altezza del tallone è alto circa 5,5 cm), con la conseguenza che è assolutamente necessario indossare un buon paio di ghette per evitare di perderle per strada o nel fango: sappiamo anzi che durante la campagna di Polonia del 1806/7 diversi soldati furono visti camminare con le scarpe in mano, data l’impossibilità di calzarle. Qualcosa di simile, per inciso, è accaduto anche a chi scrive, durante la rievocazione della battaglia di Marengo (2000). Aveva piovuto per tutta la notte precedente e quando entrai sul “campo dell’onore”, dopo pochi passi, diciamo circa 50 metri, persi entrambe le scarpe nel fango e fui costretto a svolgere il resto della battaglia con le sole calze. Alla fine dell’evento riuscii fortunatamente a ritrovarle, semisommerse nella mota: dovetti compiere la parata finale con le scarpe in mano e non vi dico la successiva fatica nel ripulirle! Quando, viceversa, la strada si faceva particolarmente ghiaiosa o rocciosa i chiodi non facevano altro che rendere più difficoltoso, e talvolta doloroso, il cammino; una sofferenza che, ricordiamo, poteva durare anche 6/8 ore, per un totale di 20/24 km al giorno in condizioni normali, cioè col nemico relativamente lontano. Inoltre, per quanto il regolamento prescrivesse che fra la suola vera e propria e quella interna dovesse sussistere “une semelle intermédieaire”, sappiamo nondimeno che spesse volte questa mancava o era realizzata con materiali così scadenti che il freddo, attraverso i chiodi, raggiungeva con grande facilità il piede, rendendo la marcia ancora più penosa. Non a caso, durante i bivacchi i soldati erano soliti rivolgere la suola verso il falò proprio per cercare di riscaldarsi. Per alleviare tutti questi disagi i soldati utilizzavano ovviamente calze in lana ben spesse, alcuni avvolgevano i piedi in fasce di tela dopo averli adeguatamente ingrassati; altri ancora semplicemente preferivano utilizzare zoccoli in legno (meglio se foderati di comoda paglia). La scarpa aveva, infine, un’ultima funzione: quella di fungere, specialmente durante il Primo Impero, da strumento di punizione. Fermo restando che il regolamento francese vietava ogni tipo di punizione corporale, alcune stampe, e soprattutto diverse testimonianze, ci informano dell’esistenza di un modo molto sbrigativo esistente fra i soldati di farsi giustizia: prendere il malcapitato e percuotergli il sedere con la suola chiodata della scarpa per un numero variabile di volte a seconda della gravità della colpa. Lasciamo la parola al generale Pelleport: “un uso che fu tollerato e persino incoraggiato dai capi, consisteva nel far comparire davanti agli anziani della compagnia i ritardatari rimasti per strada e soprattutto quelli che non si facevano vedere sul campo di battaglia. Questo tribunale d’onore funzionava prontamente e con giustizia; il castigo consisteva in qualche colpo di scarpa, del grasso o del magro, cioè del tacco o della scuola, applicati sul didietro del colpevole. Il militare che aveva subito questa punizione non poteva sperare nell’avanzamento né di entrare in una compagnia scelta, a meno che non si facesse notare in seguito per il suo coraggio in un’azione di guerra. Questa disciplina manteneva molti uomini nei ranghi”. Non è chiaro se questa pratica avvenisse con o senza calzoni, ma si trattava comunque di un “supplizio che impedisce di camminare per diversi giorni: bisogna vedere quegli uomini quando si riaggiustano i pantaloni che aria mogia hanno”.
[di Massimo Zanca]