Nei giorni più bui dell’egemonia marittima dell’impero il sovrano francese da una dimostrazione magistrale del suo genio strategico mobilitando l’esercito sul fronte danubiano, la lezione impartita dalla Grande Armèe sarà memorabile. Le forze destinate ad imbarcarsi sulla flotta che li avrebbe condotti verso l’Inghilterra si stanno già dirigendo verso i confini a passo di marcia quando Napoleone ha la conferma che l’offensiva della coalizione sta per convergere su di lui. Ora, ci fu chi nella prima guerra mondiale ebbe a dire che il vantaggio di Bonaparte fu quello di doversi scontrare contro grandi coalizioni con grandi disagi logistici, di cui Napoleone poteva avere facilmente ragione cercando scontri di proporzioni sufficienti per le vittorie di cui aveva bisogno. Un forte congiungimento delle forze russe e dei contingenti asburgici avrebbe messo in forte difficoltà l’esercito francese, timore che non divenne realtà a causa dei dieci giorni di differenza tra il calendario gregoriano e quello giuliano. Fatto di cui Napoleone era forse a conoscenza la calda mattina del 26 agosto 1805, quando venne informato delle prime mobilitazioni delle avanguardie austriache (seguite dai 95.000 effettivi di dell’arciduca Carlo) destinate alla riconquista dell’Italia settentrionale. Giovanni, il fratello dell’arciduca, si era messo alla testa di 23.000 uomini e si stava dirigendo verso il Tirolo in contemporanea all’altro fratello, Ferdinando, che si stava movendo con un esercito di 70.000 soldati (le cui manovre erano supervisionate, per volere del kaiser, dal capo di stato maggiore imperiale asburgico: il feldmaresciallo Mack). Gran parte delle unità erano distanza presso il Danubio, in attesa dell’arrivo delle truppe dello zar, con le quali avrebbero condotto un’offensiva congiunta costituendo un imponente contingente che si sarebbe diretto verso Strasburgo. I 35.000 uomini dell’esperto Kutuzov erano attesi per in Baviera, dove si sarebbero uniti ad altri 40.000 di Buxhowden, ai 20.000 al comando di Bennigsen il 20 ottobre (nello stesso momento numerosi rinforzi austriaci avrebbero raggiunto gli inglesi a Napoli e gli svedesi in Pomerania). Ma gli inani ufficiali russi non avrebbero raggiunto la Baviera prima di novembre. Inoltre lo stesso Kutuzov conservava una certa indipendenza di comando ed una libertà di movimento che metteva da parte solo in presenza di alcuni arciduchi o quando a scendere in campo era l’imperatore in persona, complicando ogni rapporto di reciproca convenienza fra i generali e minando qualsiasi collaborazione tra le diverse armate. Infine per l’imperatore Francesco contava di più il punto di vista del generale Mack rispetto a quello del figlio Ferdinando; che pure aveva messo a capo dell’armata danubiana –e anche questo ha dato luogo a tensioni nello stato maggiore, dispute tra i generali e sicuramente molte esitazioni. Problemi che Napoleone, sino ad ora, non si è mai trovato ad affrontare. In seguito alla sua prorompente ascesa al potere si trovò nella condizione che aspettava da anni: non dover rendere conto a nessuno del proprio operato. Questo significava soprattutto poter sostenere spese folli per fare del suo maggiore strumento di potere una garanzia di governo; portare cioè l’esercito al massimo grado di efficienza. La condizione politica dell’imperatore francese esigeva scontri militari e tensioni diplomatiche, tutto il sistema napoleonico si reggeva sulle sue vittorie. Lui stesso asseriva che, a differenza di qualsiasi altro sovrano con poteri legittimi, non sarebbe mai potuto rientrare nella capitale se non come vincitore; non avrebbe mai potuto reggere l’urto degli smacchi che realtà come quelle austriache potevano, tutto sommato, permettersi. “La mia posizione è del tutto diversa da quella dei sovrani di vecchio stampo. Essi possono condurre una vita indolente nei loro castelli, e abbandonarsi senza vergogna a ogni specie di vizio. Nessuno contesta la loro legittimità, nessuno pensa di sostituirli. Nel mio caso, tutto cambia. Non c’è generale che non s’immagini di avere al trono lo stesso diritto che ho io. Non c’è uomo che non creda di aver determinato la mia sorte il 18 Brumaio”.
Nel 1805 non poteva esserci un Moreau a opporsi ai suoi progetti, e la condizione dei mezzi che aveva a disposizione gli consentiva almeno di tentare di attuare qualunque progetto, per quanto azzardato potesse sembrare ai suoi marescialli. Vero è che ci furono opposizioni nell’imminenza dell’offensiva, per la coscrizione di 80.000 soldati che non avevano ancora compiuto l’età prevista della legge per l’arruolamento, ovvero i vent’anni. Gli bastò però redigere un “senatus consultus” per aggirare la questione, col risultato che sistemò tutto senza richiedere l’approvazione delle assemblee. Per questo nessuno di coloro che consideravano avventate le sue “mosse del cavallo” fiatò alla decisione di giocare d’anticipo attaccando per primo in un’apparente situazione di minorità. Il suo intento, questa volta, era quello di inviare uno dei migliori marescialli dell’impero nominati ventiquattro ore dopo la sua incoronazione, Murat, a simulare un attacco nella Foresta Nera, una mobilitazione fittizia che doveva fungere da diversivo per attirare le forze di Mack (e tagliare loro le comunicazioni con Vienna e coi russi). Sul Reno sarebbero dovuti confluire 210.000 uomini, la Grande Armata doveva però evitare minacce da altri fronti, quindi Napoleone diede ordine a Massena di fare pressioni su Carlo perché non abbandonasse le posizioni del confine italiano, utilizzando congiuntamente i 50.000 uomini che aveva a disposizione assieme a 20.000 inviati a Napoli, lasciandone 30.000 a Boulogne per fronteggiare un’eventuale sortita inglese.
L’obiettivo divenne Augusta, appena sotto il Danubio, ottima base operativa e posizione ideale per separare l’armata di Mack dalle vie di comunicazione. Agli otto corpi d’armata in cui era diviso l’esercito fu dato appuntamento appena a nord del fronte danubiano, per un’operazione che si preannunciava grandiosa non tanto per la strategia, speculare alle tattiche adottate a Lodi, Arcole e Strabella, quanto per le dimensioni impressionanti. Non occorreva infatti gestire qualche divisione, bensì coordinare i movimenti di centinaia di migliaia di uomini schierati in otto colonne abbastanza distanziate per non precludersi a vicenda gli approvvigionamenti e prestarsi man forte in caso di necessità: “L’arte della guerra –scriveva al fratello Giuseppe- è disporre le proprie truppe in modo che siano contemporaneamente dappertutto”. Sino ad allora, la storia militare europea aveva annoverato solo una manovra di così ampio respiro, quella con la quale il duca di Marlborough nel 1704 aveva condotto il suo esercito dall’Olanda la Danubio: ma si trattava di 40.000 uomini, non di 210.500, tra cui 29.500 cavalleggeri, oltre a 396 cannoni trainati da 6430 cavalli, che, grazia alla loro mobilità strategica garantita dalla struttura a corpi d’armata, riuscirono a coprire 350 km in soli tredici giorni. I corpi d’armata francesi erano di consistenza assai diversa fra loro, e se anche gli austriaci fossero venuti a conoscenza delle loro direttrici di marcia, non si sarebbero capacitati delle forze nemiche, dal momenti che potevano avere di fronte 50.000 uomini o una colonna di 10.000 effettivi, i due estremi stabiliti da Napoleone; ogni corpo era accompagnato da reparti di cavalleria leggera a protezione dei fianchi, mentre l’artiglieria di Marmont venne collocata quasi esclusivamente in riserva per essere impiegata solo negli scontri: fu prevista anche una riserva di 22.000 cavalleggeri, addestrati da Murat per poter essere impiegati in maniera flessibile in azioni di copertura, di disturbo o diversione. Per quanto concerne l’approvvigionamento va aggiunto che, per non gravare sui tempi di marcia, i carri furono caricati con viveri per soli quattro giorni, fruibili solo nell’imminenza di una battaglia –per il resto ci si affidò alle requisizioni.
L’imperatore era a Parigi quando ebbe notizia che l’esercito di Mack era arrivato ad Ulma, sotto il Giura, sufficientemente a ovest perché Napoleone ordinasse l’avanzata della Grande Armata, che ebbe inizio dal Reno nella notte tra il 24 e il 25 settembre 1805. Partì anche parte della cavalleria di riserva di Murat insieme al v corpo di Lannes, incaricati dell’azione diversiva della Foresta Nera: i loro 40.000 uomini presto impegnarono i primi contingenti austriaci, che spostarono ancora più a occidente il raggio della propria azione permettendo alle forze francesi di attuare l’accerchiamento.
Il 2 ottobre la marcia dell’esercito, che si era spinta verso est, iniziò la rotazione a sud, puntando alla zona prescelta per l’attraversamento del Danubio, tra Munster e Ingolstadt; mentre i corpi stanziati a settentrione (ovvero quelli di Marmont e Bernadotte), cui si era unito un distaccamento bavarese distanza verso l’esterno dello schieramento, preferirono tagliare attraverso il territorio prussiano -risparmiandosi una marcia decisamente più lunga. la mossa non piacque a Federico Guglielmo III, e l’evento costituì uno dei principali pretesti per la sua discesa in campo a fianco della coalizione. Meno strada fecero, al centro, Soult e Davout assieme ai corpi che fecero da perno allo schieramento, ovvero quelli di Ney e di Lannes, gli uomini di Murat e i contingenti della guardia imperiale. Nulla di tutto questo era trapelato tra i comandanti austriaci, che pure intuendo le proporzioni e la portata di questa gigantesca offensiva, non riuscivano a prevedere in quale zona le truppe avversarie si sarebbero concentrate e da dove Napoleone avrebbe sferrato l’attacco incipiente.
Ulm, la scacchiera della battaglia
Il vantaggio della copertura mediatica del regime di Napoleone sulle ceneri della libertà d’espressione della rivoluzione, fu che nessun organo di stampa violò i suoi ordini, tra questi vi fu quello di non pubblicare nulla a proposito dell’avanzata francese; gli stessi comandanti dei corpi d’armata furono informati solo del minimo indispensabile riguardo la mobilitazione delle truppe, per evitare che qualsiasi intercettazione dei dispacci potesse aiutare il nemico a ricostruire i piani di Napoleone. Inoltre le azioni di Murat e di Lannes avevano ben coperto l’effettivo scopo dell’esercito francese: così, Mack e Ferdinando, che avrebbero potuto mettere in grossa difficoltà i transalpini ostacolandoli nell’attraversamento del Danubio o attaccando le divisioni dislocate più a sud, non fecero altro che rimanere in attesa di Kutizov e acquartierarsi poco a est di Ulma, presso Gunzburg. Ma già nella giornata del 7 ottobre la Grande Armata stava attraversando il fiume poco più a est della cittadina, lungo il Lech; destinazione Augusta, come previsto. Così, senza avere la cognizione di capacitarsene, Mack si trovò virtualmente accerchiato e in condizioni di relativa inferiorità, anche perché la disposizione dei corpi dell’imponente schieramento francese era a non più di un giorno di distanza l’uno dall’altro. Sortì per di più un effetto insperato la tattica francese di far circolare nelle retrovie contrordini fittizi e notizie depistanti; un agente austriaco, infatti, informò lo stato maggiore di Mack che correva voce di un’invasione inglese in Francia, spingendo il generale a interpretare le manovre di Napoleone come il sintomo di una precipitosa ritirata. Mangiò la foglia predisponendo l’esercito all’inseguimento e favorendo possibili scontri isolati tra diversi contingenti separati. E così avvenne, i reparti cominciarono ad avvistarsi e a combattersi in piccole battaglie sino all’8 ottobre, quando Lannes e Murat sbatterono su nove battaglioni e sturlarono contro uno squadrone di cavalleria presso Wertigen, facendo 2000 prigionieri; l’11 gli austriaci persero una grande occasione a causa di un errore di Murat, che indusse Ney a lasciare una sua divisione sulla riva nord del Danubio. Così 4000 dragoni vennero investiti da forze molto superiori presso il villaggio di Albeck, poco sopra Ulma, ma riuscirono a tenere impedendo agli austriaci di aprirsi una via di fuga. Convinto di trovare l’intero armata nemica a Ulma, Napoleone aveva nel frattempo deciso di procurar battaglia sul fiume Iller, e a tal scopo partì da Augusta riunendosi a Murat, Lannes, Ney, Davout e alla guardia imperiale, dando ordine a Soult di attuare una manovra di aggiramento e sorprendere il nemico alle spalle. Sino a rendersi conto che non avrebbe ancora pescato tutte le forze nemiche entro il 13, inviò quindi supporto ai dragoni ancora assediati ad Albecik sulla riva opposta; Ney si aprì la strada combattendo per attraversare il fiume, liberando la divisione circondata e bloccando Mack a nord. Il generale austriaco era già pressato a Ulma da Marmont e dalla guardia imperiale, mentre Soult, da sud, gli tagliava la via di fuga verso il Tirolo. Napoleone aveva appena iniziato a bombardare la città dove il generale si era asserragliato con gran parte dell’esercito, quando Mack richiese un armistizio, più che altro per temporeggiare a favore dell’unica speranza che gli era rimasta: l’arrivo di Kutuzov. L’imperatore sapeva che il generale russo era ancora molto lontano, e glielo concesse senz’altro il 17 ottobre, con una clausola per cui, se non fosse giunto alcun supporto entro il 25, ci sarebbe stata la resa incondizionata. Ma poi Mack venne a conoscenza sia della posizione di Kutuzov, che della resa di altri due presidi austriaci, per un totale di 20.000 uomini fatti prigionieri da Murat nel suo inseguimento alla cavalleria che Ferdinando tentò invano di sottrarre alla morsa francese. Il fratello dell’arciduca si affrettò ad arrendersi già il 20. Nonostante la fuga di almeno 10.000 dei suoi soldati, molti erano gli effettivi che lo sconfortato generale austriaco si apprestava a consegnare ai francesi: davanti a Napoleone e alla Grande Armata, schierata a semicerchio per osservare la scena, sfilarono lentamente deponendo le loro armi ben 25.000 fanti e 2000 cavalieri. Un intero esercito era stato neutralizzato con l’impiego della sola strategia, senza spreco di vite umane: quella di Ulma fu una grande partita a scacchi, dove a prevalere fu la straordinaria “mossa del cavallo” di Napoleone, si era tenuta una grande battaglia virtuale, con una vittoria che “non era mai stata così completa e così poco costosa”, come affermava il bollettino della Grande Armata emanato subito dopo la resa di Mack. Napoleone poteva legittimamente compiacersi di aver inflitto un colpo quasi mortale alla coalizione alimentata dall’Inghilterra; ma quello era anche il giorno di Trafalgar, la cui notizia lo avrebbe raggiunto solo qualche tempo dopo. Non era dunque necessario annientare anche Kutuzov, come l’imperatore si era proposto di fare fin dall’inizio della campagna. La vittoria garrita dalle aquile imperiali era completa, ma sarebbe bastato poco più di un mese per maturarla in un trionfo.
Carlo Alberto Ghigliotto