La morte dell’ imperatore Napoleone I è sempre rimasta ammantata da un alone di mistero, un po’ per aumentare il mito del personaggio leggendario, un po’ per reali incongruenze delle varie testimonianze del tempo. Quando, il 14 luglio 1815, napoleone si mise volontariamente nelle mani degli inglesi, non poteva immaginare quale sarebbe stata la destinazione che lo ttendeva: egli venne mandato nell’ isola di Sant’Elena dove, per la maggior parte del suo esilio, fu letteralmente prigioniero del governatore, tale hudson Lowe, il quale, con la scusa di mettere in atto gli ordini del governo inglese, lo sottopose alle più ignobili reclusioni e costrizioni.
Ma lo scopo di questo articolo, non è indagare la maggiore o minore rettitudine dei carcerieri dell’ imperatore, bensì consiste nel cercare di afferrare quelle che furono le cause della sua morte. il prologo di tale scritto si apre non a Longwood house, ultima dimora di Napoleone, bensì a Göteborg, nella casa di Sten Forshufvud; siamo circa nel 1955 e questo signore, dentista esperto in tossicologia, sta leggendo le memorie di Louis Marchand, primo cameriere di napoleone, che vedono la stampa per la prima volta in quegli anni. Marchand, grazie al ruolo che ricopriva, seguì e accudì Napoleone in ogni momento della sua vita a Sant’Elena e tenne dei diari che, uniti a quelli di francesco Antommarchi, ultimo medico di napoleone, rivelarono molte cose interessanti. Forshufvud, durante la lettura di queste memorie, fu molto colpito dalla descrizione dei mali da cui Napoleone venne afflitto, in particolare nell’ ultimo anno di vita. Durante i primi due anni di prigionia, l’imperatore godette di salute abbastanza buona, a parte qualche malore passeggero di breve durata. Dal 1817 in poi i sintomi della sua malattia iniziarono a farsi sempre più frequenti e forti, al punto che dal 1819 Napoleone ebbe bisogno di un medico che fosse sempre a sua disposizione. Dal settembre 1820 venne colto spessissimo da attacchi molto violenti, che lo costrinsero a letto per diversi giorni, e che si alternarono a periodi in cui si sentì relativamente meglio. infine, il 17 marzo 1821 Napoleone fu costretto a letto da un attacco violentissimo: non si alzerà mai più.
Ciò che incuriosì Forshufvud fu la tipologia degli attacchi da cui Napoleone veniva colto. Col 1819 infatti iniziò ad essere colpito sempre più spesso da malori, durante i quali soffriva di una serie di sintomi, la cui compresenza si rivelò interessante: piedi e gambe gelide e che non lo sostenevano, nausea, vomito, dolore alla regione epigastrica destra o al basso ventre, tosse continua, profonda agitazione alternata a sonnolenza, mal di testa, fotofobia, febbre, frequenza del battito cardiaco irregolare, tachicardia, spasmi e perdita dei peli. questi fattori, che vengono enumerati spesso all’ interno della descrizione dei malesseri di Napoleone, sono indicativi di un avvelenamento prolungato da arsenico.
Giunto a questa conclusione, Forshufvud aveva bisogno di prove concrete che supportassero la sua teoria. All’inizio degli anni ‘ 60 venne a conoscenza del fatto che uno scienziato scozzese, tale Hamilton Smith, aveva
scoperto il metodo per analizzare le dosi di veleno contenute in un solo capello o in frammenti di esso: infatti, l’analisi dei capelli era fondamentale per verificare se l’avvelenamento era avvenuto o meno, in quanto è proprio dal cuoio capelluto che il corpo espelle l’ arsenico. Fino a quel momento, però, l’ unico procedimento esistente ne richiedeva una quantità di circa 5000, impossibile da ottenere per forshufvud, per il quale, a quel punto, fu un compito relativamente facile riuscire a reperire dei campioni singoli, visto che all’ epoca era molto usuale regalare proprie ciocche di capelli in segno di ricordo. Al medico svedese non rimase che trovare i discendenti di coloro che avevano ricevuto un così prezioso dono. Alla fine degli studi con Hamilton Smith, ebbe davanti a sé l’ analisi di diversi campioni di capelli, tagliati in diversi periodi: un capello risaliva ad un dono del 14 gennaio 1816, fatto da napoleone alla moglie del Maresciallo Bertrand: non sappiamo esattamente
quando questo venne tagliato, ma l’ analisi di quattro frammenti di esso riportò un tasso di arsenico che variava tra un minimo di 3,5 e un massimo di 76,6 pm (parti per milione; una dose normale era 0,8 ppm). Due capelli risalivano ad un taglio del 16 ottobre 1816, donato al Conte di Las Cases, autore del Memoriale di Sant’Elena: l’ analisi di frammenti del primo capello riportava un tasso variabile tra 11,1 e 18,1 ppm, mentre l’analisi del secondo rivelava un tasso tra 9,2 e 30,4 ppm; calcolando il periodo in cui questi capelli erano cresciuti, si può presupporre che napoleone abbia ingerito una grande quantità di arsenico tra il 30 luglio e i primi di ottobre del 1816 e questo coincide con il fatto che a metà agosto e poi fra il 9 e il 13 agosto Napoleone cadde profondamente ammalato. Altri capelli erano stati tagliati il 16 marzo 1818 e regalati a Betsy Balcombe, membro della famiglia che ospitò napoleone nei primi mesi di esilio sull’ isola: vennero analizzate tre sezioni da un centimetro, che rivelarono un tasso che variava tra 6,7 e 26 ppm; i capelli crebbero circa tra la fine del 1817 e l’ inizio del 1818, periodo in cui l’ imperatore attraversò una delle sue crisi. un altro studio riguardò un capello proveniente dalla ciocca che Marchand aveva tagliato dopo la morte di napoleone: questa rivelò un tasso di 10,38 ppm. infine vennero presi in considerazione venti dei cinquanta capelli che Noverraz, un altro dei camerieri addetti ad accudire Napoleone, tagliò il 6 maggio 1821; questi vennero accuratamente analizzati in più gruppi: due gruppi di capelli rivelarono quantità di 3,27 e 3,75 ppm, un capello di 13 cm analizzato in frammenti rivelò un tasso variabile tra 2,8 e 51,6 ppm, mentre un altro capello analizzato con lo stesso metodo rivelò un tasso tra 1,06 e 11 ppm; quest’ oscillazione così notevole significava che Napoleone non era stato avvelenato da una fonte esterna in maniera casuale, bensì attraverso un metodo che prevedeva un avvelenamento periodico per mezzo di quantità di arsenico abbastanza pesanti ma non letali, mescolate a qualche bevanda o cibo. Un’altra prova ci convince di questa tesi: verso i primimesi del 1821 l’ assassino sospese la somministrazione di arsenico e aspettò che i medici iniziassero a prescrivere al malato il tartaro emetico e il calomelano. Questi medicinali venivano ordinati dai medici dell’ epoca praticamente per quasi tutte le malattie considerate incurabili: infatti queste provocando vomito, avrebbero liberato il malato del male contenuto nel corpo. Se uniti ad un avvelenamento continuo da arsenico, però, queste medicine diventavano altamente velenose. Antommarchi iniziò fin dai primi mesi del 1821 ad ordinare il tartaro emetico all’imperatore, seguendo la prassi tipica: l’emetico è composto da sale antimonio, che corrode le mucose dello stomaco e inibisce le difese delle pareti gastriche nei confronti dell’ arsenico, che viene così assorbito dal corpo. Nei giorni successivi all’ ingerimento dell’ emetico, napoleone mostrò i sintomi tipici dell’ avvelenamento; dall’analisi dei capelli, poi, risulterà che l’imperatore è stato sottoposto ad un vero e proprio avvelenamento da antimonio. L’ultimo atto arrivò il 3 maggio, a due giorni dalla morte. Un consulto di tre medici inglesi decise, spalleggiato dai marescialli Bertrand e Montholon, cioè i due ufficiali della piccola corte di Napoleone, che l’imperatore doveva prendere una pozione composta da 10 grammi di calomelano; nonostante le proteste, Antommarchi fu costretto a sottomettersi alla maggioranza. Arrivati a questo punto, è necessario fermarsi un attimo e, esulando dai danni che dopo spiegheremo, sottolineare la follia e la sconsideratezza di una tale azione: in Inghilterra il massimo che veniva prescritto erano 2 grammi di calomelano alla volta, da assumere
in più dosi, mentre in Germania e in Svezia non se ne è mai prescritto più di un grammo alla volta. Nonostante
la quantità somministrata, che ci consente di pensare ad un piano assassino ben preciso, bisogna far notare come napoleone facesse pubblicamente uso, da diversi mesi a questa parte, di un’ orzata che usava come rinfrescante: tale orzata era composta da acqua di fiori d’ arancio, mandorle dolci e mandorle amare; le mandorle amare, in unione col calomelano, costituiscono una bevanda mortale. questo fatto doveva essere 10. Noto ai medici al momento della somministrazione del calomelano che, di per sé, sarebbe una sostanza innocua, ma unito alle mandorle amare da forma ad un veleno, il cianuro. Se questo non viene subito vomitato dalla vittima, diventa mortale nel giro di un paio di giorni al massimo. Le mandorle amare, infatti, contengono
dell’ acido prussico che, durante la digestione, libera sali di cianuro mercuriale. tale mistura, unita alla somministrazione dell’emetico ha favorito il formarsi di un’ ulcera, che porterà Napoleone alla morte nel giro di nemmeno due giorni.
Napoleone muore alle 17.49 del 5 maggio 1821. Il giorno dopo si procede all’ autopsia.
Questa viene eseguita da Antommarchi, specializzato in anatomia patologica,assistito da sette medici inglesi, che redigeranno quattro relazioni diverse. Dopo molte ore di discussioni, il bollettino ufficiale che raggiunge l’Europa proclama che napoleone è morto a causa di un’ ulcera allo stomaco, collocata vicino al piloro. Questo però non concorda con alcuni particolari che Antommarchi riporta, riguardo alla autopsia, nel suo diario, come anche non concorda con quello che accade nel 1840: in questo anno, infatti, una delegazione francese composta dagli ex-esiliati e da alcuni diplomatici, si reca a Sant’Elena per esumare il corpo dell’ imperatore e portarlo a Les invalides, a Parigi, dove tutt’ ora riposa. Al momento dell’ apertura delle bare (due di legno e due di metallo), lo spettacolo che si offrì fu assai strano: i vestiti che erano stati messi al cadavere erano quasi completamente distrutti, ma non si può dire la stessa cosa del corpo, che era quasi perfettamente conservato. Questo sarebbe potuto accadere solo se, in vita, l’ organismo fosse stato sottoposto ad avvelenamento da arsenico, che viene spesso usato anche nei laboratori scientifici per conservare dei corpi.
Le prove qui riportate , unite ad altre che si è scelto di non citare per problemi di spazio, dimostrano come la tesi dell’ avvelenamento è l’ unica plausibile. Nonostante ciò, la Società napoleonica francese, che in teoria dovrebbe essere la più autorevole società al mondo su questi argomenti, si rifiuta ottusamente di accettare questa tesi, appigliandosi a scuse alquanto assurde e prive di senso e continuando a sostenere la tesi dell’ulcera allo stomaco che sarebbe degenerata in carcinoma. Fatto sta che “l’ affaire napoléon” rimane senza soluzione
definitiva e probabilmente lo resterà finchè non si riuscirà ad aprire in qualche maniera Les invalides per cercare di capire che cosa portò alla morte l’ imperatore Napoleone I.
[Niccolò Valentini]