Il prezzo della vita

Con  il presente articolo si vuole rendere noto il cosiddetto “Cambio” un particolare contratto con il quale nel sistema napoleonico persone facoltose o agiate potevano evitare lo scomodo e rischioso servizio militare comprandosi una persona che le sostituisse. Invece di riportare per intero l’atto notarile, si è voluto intercalare il documento inserendo le notizie necessarie per una corretta comprensione del fenomeno attribuendole ai probabili pensieri avuti dal sostituendo.
Faenza sabato 10 agosto 1811 al secondo piano di una casa della Strada Maestra di Porta del Ponte (oggi c.so Saffi) Antonio Callegati ascolta la lettura e firma, anzi non firma essendo analfabeta, il suo destino nell’atto notarile appena iscritto:
“…regnando la sua Maestà Napoleone primo per la grazia di Dio e per le Costituzioni, Imperatore de’Francesi, Re d’Italia e Protettore della Confederazione del Reno l’anno settimo del Suo Regno…” .
Antonio Callegati figlio di Sante, abitante in parrocchia di San Francesco, è un bracciante analfabeta, come il padre Sante del resto che lo assiste nell’atto notarile che viene redatto. La sua breve esistenza, vent’anni, è stata sinora solo di fame e fatica poiché, come scriverà sessantotto anni dopo nel 1879 Domenico Ghetti in una sua memoria sull’agricoltura faentina, “il bracciante o l’operaio vivono assai miseramente, nel più dei casi si semplice pane o di grano, o di granturco, o misto, senza vino né altro condimento”. Proprio per sottrarre la sua famiglia e sé alla fame, se non alla fatica, Antonio Callegati si trova ora nello studio del notaio Poggi e lo ascolta leggere senza neppure capire molte delle cose che il notaio legge in quella astrusa e burocratica lingua italiana che lui e suo padre capiscono ben poco.
“….Antonio figlio del vivente Sante Callegati di condizione bracciante d’anni 20, venti, compiuti, ma però assistito dal detto Sante del fu Andrea Callegati di lui genitore pure di condizione bracciante di età maggiore qui presente,ed anche che la potestà ogni suo assenso, e paterna autorizzazione per l’atto infrascritto…il detto Antonio Callegati con detto paterno consenso, ed autorizzazione, di sua e spontanea volontà….promette e si obbliga di servire nelle truppe di questo Regno d’Italia, ed altrove…”
Certo, pensa mentre ascolta queste parole l’Antonio, meglio partire per l’Armata che rimanere a fare la fame, è da quando è bambino che vede partire soldati e li vede tornare, ed hanno soldi, e raccontano di paesi lontani, e battaglie, e donne, e vino; certo qualcuno non è tornato, ma qualcuno, partito soldato è tornato ufficiale, con una bella uniforme scintillante e le donne che gli corrono dietro, e spende molto nelle osterie. Allora tanto vale tentare la fortuna, per male che vada morirà in qualche paese lontano dal nome difficile da pronunciare e da ricordare, ma tanto si muore anche a Faenza, si muore di fatica, di fame, di malattia che non si hanno i soldi per curare, di epidemia, solo che qui a faenza si muore senza speranza di poter mai migliorare, sei e sarai sempre un bracciante, una bestia. Certo della vita militare Antonio Callegati conosce più le spacconate raccontate dai reduci che la realtà, ma anche la realtà che lui non conosce è sempre meglio della sua condizione di vita. I coscritti, in gruppi di quattrocento o cinquecento vengono inviati dai Depositi ai corpi dove giungono dopo mesi di marce, specialmente se i reggimenti ai quali sono destinati si trovano in Spagna o in Prussia; per raggiungere questi ultimi, 2.500 chilometri, sono necessari cinque mesi di marcia. Le condizioni di vita nelle Armate poi non sono affatto uniformi, migliori quelle offerte dai campi nei quali i reggimenti rimangono a lungo e dove i soldati si costruiscono baraccamenti, aiuole ed orti, peggiori quelle delle caserme e degli accampamenti di fortuna, umidi ed infestati dai parassiti. Nei locali delle caserme, quasi sempre privi di infissi o con infissi fatiscenti, sono sistemati dei panconi sui quali i soldati giacciono allineati nelle poche ore destinate al sonno, o letti nei quali dormono in due o tre. Una grande innovazione per il benessere della truppa verrà con l’introduzione di un saccone di tela grezza che funge da lenzuolo. Il vitto, almeno teoricamente, è discreto, ogni reggimento dispone di 51 lire all’anno per il pane di ogni soldato, ma la somma è considerata ed è insufficiente . Il rancio è cucinato per squadre di 14 soldati a turno da uno di essi che è anche incaricato di acquistare il vitto. Il primo pasto era una  zuppa di carne lessata, e legumi , ed il secondo di pasta e fagioli. Quando poi l’Armata entra in campagna ufficiali e soldati, finche è possibile, sono alloggiati e nutriti presso le varie città dove transitano che sono obbligate a fornire per ogni soldato 740 grammi di pane, 245 di carne, 31 di riso, 62 di legumi ed una grande razione di birra. Naturalmente vi sono in campagna, momenti di grande difficoltà poiché spesso gli approvvigionamenti dalle retrovie sono aleatori o completamente assenti e le città attraversate sono ormai talmente spogliate dalle truppe di passaggio che nulla possono più offrire, ma in questi casi si supplisce con la “busca”, come la chiamano i soldati piemontesi, cioè con le requisizioni forzate nelle campagne attraversate. Anche per quello che riguarda il vestiario la condizione dei soldati è nettamente superiore a quella della vita civile di molti di essi; ad inizio campagna ogni soldato ha nello zaino due paia di scarpe di ricambio, una uniforme di tela ed un ricambio di biancheria. Dopo mesi e centinaia di chilometri percorsi e ripetuti combattimenti le uniformi divengono però lacere, le scarpe rotte e le biancherie vengono a mancare.
Naturalmente Antonio Callegati non sa tutte queste cose, o ne conosce solo una parte e quella migliore, ma anche se le avesse sapute tutte avrebbe accettato; per lui, e per quelli come lui. Anche queste condizioni sono un consistente miglioramenti delle condizioni di vita. Il pane, anche se cattivo, non sarà comunque peggiore di quello che è costretto di mangiare a casa sarà comunque meglio della fame, la carne praticamente non sa che sapore sappia e due pasti al giorno sono cose da signori, come lo sono le scarpe o la biancheria “….invece del Coscritto per l’Armata di Riserva Sig. Vincenzo del fu Antonio Zannoni domiciliato e dimorante in questo Circondario, e Comune, in Parocchia Merlaschio, Dipartimento suddetto, assente, per il medesimo presente, accettante ….il Sacerdote Sig. D. Pietro del defunto Marco Zannoni rettore della chiesa della Chiesa Parrocchiale di Forellino…”. Forse Zannoni si era vergognato di venire, per lui, piccolo proprietario coltivatore, partire era un danno grosso, significava non potere coltivare il piccolo podere che aveva ereditato e poi tanto lui mangiava lo stesso, non aveva mica bisogno di fare il soldato per mangiare la carne, e con il rischio di poter morire poi in guerra, per Zannoni era diverso che per lui. “…obbligandosi il detto Antonio Callegati di prestare tutto quel servizio militare, e per tutto quel tempo, per cui sarebbe obbligato servizio quale Coscritto il detto Sig. Vincenzo Zannoni…”
Antonio Callegati non sa che se è vero che la ferma negli eserciti napoleonici  è teoricamente di cinque anni, nella pratica vengono congedati solo coloro che hanno servito molti anni è solo in misura non maggiore di un ottavo della forza effettiva. In pratica riescono a tornare alle loro famiglie solo coloro che, per ferita o malattia, non sono più idonei al servizio. Sempre in teoria il soldato, dopo due anni di servizio, ha diritto ad una licenza, ma in pratica è impossibile usufruirne poiché bisogna dimostrare di poter sostenere le spese di viaggio, spese che per chi presta servizio in Polonia od in Spagna sono insostenibili. Se solo lui deve fare il soldato al posto di quel Zannoni per cinque anni e, quasi gli dispiace che siano solo cinque anni, e dopo quei cinque anni cosa farà? Come farà a ritornare alla sua vita di bracciante e di miseria?
“…e di deportarsi in maniera, che lo stesso Sig. Vincenzo Zannoni non abbia a risentire danno, e pregiudizio veruno, altrimenti il detto Antonio Callegati intende di poter essere astretto con li più efficaci rimedi di fatto e di ragione, e tenuto all’ammenda di tutti li danni, spese ed interessi, de quali…”
Ed ora, dopo questa parte della quale non aveva capito nulla, doveva venire la parte più interessante, lo sapeva.
“…in corrispondenzadela quale assunto obbligo il lodato Sig. Parroco Pietro Zannoni promette, e s’obbliga di pagare, e liberamente sborsare in denaro effettivo, a metallo sonante, ed in monete fini, e reali, esclusa qualunque moneta plateale, e qualunque carta monetata o da monetarsi…”. Questo era un punto importante, nessuno ha fiducia nei pezzi di carta, si paga con moneta sonante, di metallo, che si può anche nascondere o seppellire senza che si rovini e che sia da buttar via.
“…promette di sé e si obbliga di pagare al detto Callegati presente ad accettante la somma e quantità di Lire mille ducento trentacinque, e centesimi settantuno, L.1235,71. Così da patto…”
Sono un sacco di soldi quelli, pensa Antonio, non sa neppure lui quanti esattamente, lui sa che spesso a casa sua non ci sono neppure i 48 centesimi necessari per comprare un chilo di pane, non parliamo poi della lira e sessantadue centesimi per un chilo di carne di bue; la carne, quando va bene, si riesce a comprare una volta all’anno. Antonio continuerebbe ancora ad elencarsi mentalmente i prezzi correnti sul mercato per le cose da mangiare, li chiede sempre quando,  senza lavoro, bighellona per il mercato, ma solo per curiosità, tanto se va bene mangia solo pane comune, quello da quarantotto centesimi. Sa anche, qualcuno glielo ha detto, che quei soldi lì li prende in un anno Saverio Tomba, un pezzo grosso del comune, il ragioniere capo, uno che sta bene prendendo in un anno 1.290 Lire l’anno, ma l’ultimo dei suoi sottoposti prende solo 270 lire ed il bibliotecario, anche lui uno che certo non fatica con la zappa, prende in un anno 967 lire. Si era informato bene Antonio quando il parroco Zannoni gli aveva proposto quell’affare di cosa valevano i soldi; era necessario per lui saperlo bene, non se ne intendeva mica, per lui ed i suoi familiari una lira era già molto.
“…in diminuzione della quale promessa somma il prelodato Sig. Parroco Zannoni attualmente paga e sborsa al detto Antonio Callegati come sopra autorizzato dal detto Sante Callegati di lui padre, presente, e consenziente la somma e quantità di L. 376,08 lire trecentosettantasei, e centesimi 8…”
E questi intanto erano lì, in monete sonanti, tanti, più di quelli che prendeva in un anno il messo comunale, glielo aveva detto a lui il messo, che prendeva 300 lire all’anno dal comune per fare quel lavoro.
“…si conviene poi fra parti, che le riseduali L. 859,62 lire ottocentocinquantanove, e centesimi sessantadue il suddetto Sig. Parroco Pietro Zannoni, conferma, promette, e si obbliga debba pagarle, e liberalmente sborsare in denaro effettivo, e metallo sonante come sopra in mani di detto Sante Callegati  padre di detto Antonio qui presente in tante rate semestrali dal di d’oggi in avanti decorrendo di L. 134,32 lire centotrentaquattro, e centesimi trentadue l’una, alla riserva dell’ultima, che dovrà essere di L. 53,73 lire cinquantatre, e centesimi settantatre di sei in sei, 6 in 6 mesi posticipatamente in questo Comune di Faenza liberamente, e rimossa ogni eccezione, e con obbligo allo stesso Sig. Parroco Zannoni di dover corrispondere a titolo di lucro cessante, e di danno emergente il convento frutto, ossia interesse in ragione del cinque 5 per cento, ad anno…” Antonio ora pensa a suo padre Sante, che lo ha incoraggiato a quel passo. Sono d’accordo che dei soldi di oggi Antonio se ne porterà dietro pochi, si sa che nell’Armata rubano, è sempre un rischio portarsi dietro troppi soldi, e poi da soldato gli daranno la paga, dei soldi ne avrebbe avuto lo stesso, mica tanti ed a volte anche con un ritardo di sei mesi, ma ne avrebbe comunque avuto a sufficienza per mangiare qualcosa in più, per pagarsi qualche prostituta ogni tanto ed anche per giocare un po’. Queste cose le sa bene, gliele ha raccontate, come tutto quello che sa della vita militare, suo fratello Giovanni Andrea, sei anni più grande di lui, quell’unica volta che è riuscito a venire a casa in licenza in sei anni che è all’Armata. E gli altri soldi, quelli rimasti e quelli che il parroco avrebbe poi dato a suo padre ogni sei mesi erano d’accordo che un po’ li avrebbero spesi i suoi per mangiare un po’ meglio e gli altri li avrebbe dati ad un fattore che conosceva e che era onesto e che li teneva anche per altri e che avrebbe pagato anche il frutto.
“…se poi il detto Antonio Callegati, o non fosse accettato al Deposito, o accettato e trasferitosi all’Armata venisse congedato per colpa sua o disertasse dall’Armata in modo che il CoscrittoSig. Vincenzo Zannoni fosse obbligato a dare un’altroCambio o a servire egli stesso, in allora non solo si avrà per nulla, e come non fatta qualunque obbligazione a favore del detto Callegati sarà tenuto, oltre alla restituzione delle somme percepite, anche all’ammenda di tutti li danni, spese, ed interessi, de quali. …”
Questa era proprio una perdita di tempo ed uno sciupo d’inchiostro; lui a disertare non ci pensava per niente, per tornare a morire di fame od a scappare sempre con la paura di finire in galera o fucilato. Pensava alla morte invece, a quella sì, ad uno che aveva conosciuto suo fratello, un certo Luigi Ferrucci, anche lui bracciante analfabeta, che aveva fatto la stessa scelta che Antonio stava facendo oggi, aveva fatto il sostituto del conte Rodolfo Zauli Naldi, gente ricca quella, ed era morto in battaglia a Luxenburg due anni prima e che il conte, da buon patriota, aveva offerto, benché non vi fosse tenuto, di rimpiazzare con un nuovo sostituto.
Ora finalmente, avevano finito, Antonio era proprio stufo di tutte quelle parole, ora dovevano solo firmare.
“…Non si sottoscrivono li detti Antonio, e Sante, figlio e padre Callegati, perché hanno dichiarato di non sapersi scrivere.”
Avevano finito, ora Antonio poteva finalmente andare a spendere qualcuna di quelle belle monete e quella sera in casa sarebbe stata una grande festa, con grande e bella cena. La cosa più importante che Antonio non sapeva era  che per lui la ferma militare non sarebbe durata a lungo; dopo avere servito per tre anni in un reggimento d’artiglieria a piedi con il crollo del sistema napoleonico tornerà a Faenza e nel 1814 risulterà arruolato nella Guardia Urbana, la forza di polizia del Governo Provvisorio Austriaco per tutelare l’ordine pubblico.

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