Uniti nelle glorie e nelle sconfitte dei campi di battaglia, Napoleone ed il maresciallo Ney sono legati anche da un’altra particolarità: il mistero sulla loro morte. nel precedente articolo, il Monitore aveva affrontato l’enigma sulle cause della morte dell’imperatore, ora analizziamo cosa successe al «prode tra i prodi».
Le biografie si concludono con la fucilazione, avvenuta il 7 dicembre 1815 nei giardini del Lussemburgo a Parigi, di Michel Ney, reo di essersi schierato con l’evaso anziché consegnarlo ai Borboni. Calata definitivamente l’epopea napoleonica a Waterloo, il maresciallo non beneficiò dell’amnistia concessa a chi era tornato tra le file imperiali e ancora prima che riuscisse a partire per l’America, venne arrestato.
«Non posso trattenere l’impeto dell’oceano con le mie mani» si difese.
Il suo voltafaccia, aggiunse, era stato motivato dalla volontà di evitare una guerra civile. nonostante le sue parole, la sentenza di morte giunse alle 23 del 6 dicembre 1815. Alla notizia, una gran folla circondò il primo ministro dichiarando che la condanna era stata votata in assemblea solo in ubbidienza al re e con la tacita convinzione che la pena sarebbe stata poi commutata in esilio. Inoltre perfino l’esercito palesò il proprio disappunto, tanto da spingere il primo ministro a chiedere udienza urgente al re. «Al mio risveglio, mi porti la notizia che quel traditore ha scontato il suo delitto» fu la secca risposta. Perfino Wellington, a cui i Borboni dovevano la restaurazione sul trono di francia, considerò la condanna avventata e ingiusta, ma venne congedato bruscamente. Ney non doveva dunque essere fucilato. qualcosa di strano in effetti avvenne. Per prima cosa, all’ultimo istante il luogo della sentenza fu spostato in un punto poco frequentato dei Giardini e l’ora fu posticipata alle 9.00, quindi non di mattina presto, come imposto dal re. dinanzi al plotone Ney disse: «non sapete che sono abituato ai proiettili da vent’ anni?».
Mentre l’ufficiale esitava, il maresciallo aggiunse: «Miei prodi camerati, sparate non appena mi sarò portato una mano al petto. Cercate di colpire il cuore». I soldati risposero con la scarica di fucileria e Ney cadde senza una convulsione né un lamento.
Secondo il rapporto ufficiale, il corpo rimase esposto per quindici minuti, ma in realtà, dopo dieci era già all’ospizio dei trovatelli: lì rimase fino alle 6.30 del giorno dopo, quando avvenne la sepoltura al Père Lachaise, senza che la moglie accompagnasse il feretro. La testimonianza di Quentin Dick, spiega che la salma fu subito rimossa in non più di tre minuti e nessuno aveva dato il colpo di grazia e nessun medico aveva esaminato il cadavere. Un altro testimone, il signor Caveau, riferì che i numerosi sassi col sangue di ney vennero rimossi da un signore inglese. eran stati rimossi perché col gesto singolare di battersi il petto ney ruppe un sacchetto con del liquido rosso nascosto sotto la giacca? una relazione dell’epoca riportava che il corpo non presentava alcuna ferita da proiettile, mentre il referto ufficiale indicava dodici pallottole nel corpo e tre nella testa. Un ufficiale che esaminò il luogo trovò solo un foro nella parte alta del muro. Altri testimoni dichiararono che il muro era chiazzato di sangue.
Emersero dunque molte contraddizioni! Sua moglie non si recò mai a far visita alla tomba eretta nel 1848; inoltre non volle essere seppellita al suo fianco sebbene non avesse mai desiderato risposarsi, trascorrendo tutta la sua vita a riabilitare la memoria del marito. Nel 1853 sul luogo della fucilazione si innalzò un monumento, ma la sua tomba (con inciso solamente il cognome) fu sempre trascurata e lo stesso Luigi napoleone disse che qualcun altro potrebbe esservi sepolto al posto di Michel ney. questo è ciò che la storiografia ufficialmente riporta in merito alla vita del maresciallo. Ma nessuno menziona un tal Peter Stuart ney, cittadino americano morto nel 1846. eppure, gli argomenti son molti, utili non tanto per la costruzione di una semplice fantastoria ma per dimostrare che in effetti ney si salvò dalla fucilazione.
Riprendiamo il filo del racconto e imbarcamoci in direzione delle Americhe per giungervi il 29 gennaio 1819 a Charleston, in compagnia di Philip Petrie, un soldato che aveva combattuto tra le file della Grande Armée proprio agli ordini di ney. Proprio Petrie nel 1874, testimoniò di avere riconosciuto l’ex maresciallo con assoluta certezza durante la traversata, episodio che lo stesso Peter Stuart confermò poco prima di morire.
Allo stesso modo, ney fu riconosciuto anche da numerosi rifugiati francesi a Georgetown. Successivamente si trasferì per tre anni a Brownsville come maestro di scuola; infine si spostò a Mocksville, dove rimase fino alla morte, a parte un biennio dal 1828 al 1830 a Mecklenburg. Venne sepolto vicino a Salisbury.
Questa è la breve vita del tranquillo maestro di scuola, Peter Stuart ney; vita che iniziò proprio nel 1819. Ma
importanti sono le testimonianze oculari di chi lo incontrò. Innanzitutto, le numerose cicatrici corrispondevano
con quelle del maresciallo, a partire da una sulla guancia che lo stesso ney disse di essersi procurato a Waterloo. infatti a non pochi rivelò il suo passato e molti riferirono di trovarsi di fronte a una persona non comune. Era risaputo che parlasse correttamente l’inglese, mentre il latino e il greco si suppone li avesse imparati durante il praticantato in uno studio legale, prima di arruolarsi. indubbie erano le sue conoscenze in campo militare (delle campagne napoleoniche parlava in prima persona e a volte aggiungeva delle glosse: in un suo ritratto scrisse «fatto da ney stesso») e l’abilità come spadaccino; non di minore importanza era la sua grande cultura.
Due gli episodi chiave nell’esistenza di Peter Stuart Ney: il primo fu quando apprese della morte di Napoleone. A questa notizia svenne in classe; rinvenuto, sospese le lezioni e si chiuse in camera per tutto il giorno: lì distrusse parecchi documenti e tentò di togliersi la vita. A chi lo soccorse disse che con la morte dell’imperatore erano crollate tutte le sue speranze. quali, nessuno lo può dire. forse, ipotizzo, quelle di riabbracciare la sua famiglia, che mai fece giungere in America per paura di ritorsioni contro chi lo aveva aiutato a fuggire. Ilsecondo episodio chiave fu appunto una visita che ricevette nel 1828 da parte di un giovane, distinto straniero. Alla sua dipartita, Peter rimase a lungo in uno stato di sconforto. Si dice fosse il conte eugène, suo figlio. L’unica prova scientifica possibile in grado di confutare tutte le testimonianze ai quei tempi (il dna era ancora un concetto fantascientifico, anzi, nemmeno immaginabile) era in mano all’esperto per eccellenza nel campo della grafologia, davis Carvalho, capace di risolvere oltre diecimila casi, compreso l’intricato affare Dreyfus. di fronte agli scritti di Peter Stuart e del maresciallo Ney, affermò con assoluta certezza che appartenevano alla stessa persona. Riprendendo le parole di rupert furneaux concludo che pochi uomini meritarono due epitaffi come questi: «prode tra i prodi come soldato», «amato e rimpianto da chiunque lo conobbe come insegnante».
[Lorenzo Baldoni]