Più d una volta, durante le nostre rievocazioni, ci è capitato di dover rispondere alla domanda: “Ma da dove viene il verde che avete?”. Curiosamente, questa domanda ci è sempre stata posta in Italia, mai all’estero, quasi che nella nostra penisola questo tono di verde avesse qualcosa di particolare.
Qual era, dunque, il “verde pappagallo”? Diciamo subito che non si è conservata alcuna uniforme originale del k.k.I.R.26, né di età napoleonica né di quella risorgimentale, il che complica non poco la questione. Di originale abbiamo solo un campionario di stoffe, che però risale ad un periodo “alto”, post-1867. Sappiamo però che a questa altezza cronologica i colori reggimentali sono più scuri rispetto quelli di età precedente ed in special modo rispetto a quelli di età napoleonica. Del resto, nel 1867 il k.k.I.R. 26 viene trasferito in Ungheria e prende come colore reggimentale il nero.
Detto questo, l’unica altra fonte che abbiamo potuto utilizzare sono le stampe d’epoca, siano esse quelle rappresentati soldati del 26° (e invero non sono molte), sia quelle provenienti dai “Militär-Almanach”, editi dal 1792 al 1814, e dei successivi “Militarschematismus des österreichischen Kaiserthums”, editi dal 1815 al 1914, dei libri nei quali erano elencati tutte le unità militari dell’Impero. La cadenza della pubblicazione era annuale, fatto salvo in alcuni anni particolarmente difficili non fu evidentemente procedere alla stampa (1809, 1848, 1849).
Si tratta a tutti gli effetti di fonti ufficiali, in quanto edite dallo Stato, ma subito incontriamo un primo problema: solo nei “Militär-Almanach” compaiono i colori reggimentali e nemmeno in tutti gli anni: ad esempio, l’anno 1792, 1793, 1797, 1798, 1802, 1805, 1807 (di quest’anno abbiamo però una tavola riassuntiva dei colori), 1811, 1812 non riporta i colori, mentre i “Militarschematismus” riportano solo il nome del colore. Venivano poi pubblicate a parte delle tavole onnicomprensive con i colori dei reggimenti. Indice, questo, che forse la nostra sensibilità verso il “giusto” tono di colore è un frutto della modernità e che all’epoca non fosse poi così importante?
Detto questo, è evidente che interpretare i colori di una stampa vecchia di 200 anni è tutt’altro che semplice, perché è ovvio che il tempo determina delle alterazioni della carta, che tende ad ingiallire, e dei colori stessi, che, in linea di massima, diventano più scuri. Ricordiamo fra l’altro che ancora non esisteva la stampa a colori (che è cosa diversa dal stampare alcuni caratteri in rosso) per cui questi dovevano essere aggiunti solo in un secondo momento e manualmente.
Ulteriore limite tecnico era costituito dal fatto che i pigmenti utilizzati erano naturali (e non sintetici come oggi) e che la composizione dei colori era soggetta alla bravura, alla precisione di chi li preparava. Di fatto, era sostanzialmente impossibile replicare esattamente lo stesso tipo di colore, specie se era un colore poco utilizzato, per il quale si aveva poca familiarità.
Questi limiti spiegano perché nei “Militär-Almanach” i colori siano necessariamente da prendere un po’ con le pinze. Prendiamo, ad esempio, il “Militär-Almanach” del 1791. Qui, troviamo, in sequenza:
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Colori uguali pur avendo nomi diversi. È il caso del nostro “verde pappagallo”, colore del k.k.I.R. 10 e 26, che però è esattamente uguale al “verde mela” del k.k.I.R. 9. Ed è anche quanto accade al k.k.I.R. 6 e 7, che pur essendo rispettivamente “nero” e “marron scuro” sono di fatto entrambi nero. E ancora lo stesso fenomeno si ritrova con il k.k.I.R. 15 e 18, teoricamente il primo “rosso uva” e il secondo “rosso Pompadour”, di fatto identici.
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Colori nei quali il nome non corrisponde al colore rappresentato. È il caso del k.k.I.R. 16 il cui nome è “violet” e troviamo un blu quasi nero o del k.k.I.R. 17 il cui colore è un “marron chiaro”e troviamo invece un marron scurissimo.
Vi è poi un altro enorme problema dato dalla composizione stessa dei colori e soprattutto dalla difficoltà del loro fissaggio su stoffa. Tutti sappiamo che i colori, per lavaggio e usura tendono a schiarirsi: questo accade con colori moderni, sintetici e fissati ad alta temperatura. All’epoca i colori perdevano di intensità e di tono molto più celermente e decisamente. Così, se da un lato era tutt’altro che facile replicare sempre lo stesso tono di un dato colore per grandi pezzature di stoffa, dall’altro arriviamo ad un punto essenziale: il colore teorico del reggimento non era quello che effettivamente compariva sulle uniformi e che i contemporanei potevano vedere e, nel caso degli artisti, rappresentare.
Per tirare un attimo le somme, dunque, da un lato sappiamo che i colori sulle stampe tendono ad essere più scuri, mentre dall’altro sappiamo che nella realtà erano più chiari, anche di quanto si avesse voluto. Il caso forse più eclatante di questa situazione è quello indicatoci dall’amico Enrico Acerbi riguardante le uniformi dei grenzer dal 1809: ovunque vengono rappresentate di colore marrone, ma in realtà si trattava di un nero di così scandente qualità che diventava ben presto marron scuro!
E tutto questo senza contare poi che, allora come oggi, esisteva l’errore umano, per cui poteva capire che un dato reggimento fosse “scambiato” per un altro. Ad esempio, abbiamo ritrovato una immagine di un fante recante l’iscrizione I.R. 26, recante tuttavia un colore azzurro che certo nulla ha a che fare con il verde pappagallo, a meno di ipotizzare un totale degradamento del colore verde in azzurro nella stampa, tesi che tuttavia è difficilmente sostenibile dato che gli altri colori dell’immagine appaiono incorrotti, oppure un degradamento del colore effettivo presente sulle uniformi, ammesso e non concesso che si tratti di disegni tratti dal vero.
Quale potrebbe essere allora il reggimento rappresentato? Fermo restando che l’identificazione è ardua, potrebbe trattarsi dell’IR 25 (colore verde mare), oppure dell’IR 30 (colore “Hetchgrau”). Nel primo caso, sarebbe forse più comprensibile l’errore del disegnatore, che avrebbe confuso l’IR 25 con l’IR 26.
Insomma, come si può capire, una situazione piuttosto intricata!
Vediamo dunque di riassumere le fonti a nostra disposizione, cominciando prorprio dagli “Almanach“.
Nella sequenza dal 1791 al 1814 il verde pappagallo assume tomi diversi praticamente ogni anno, oscillando da quelli molto scuri (1794, 1795, 1804) a quelli molto chiari (1791, 1810), passando addirittura per un tono simile al pastello (1808) che potrebbe essere tranquillamente assimilato al “verde erba”. Come detto, per il 1807 abbiamo una tavola riasuntiva di tutti i colori dei reggimenti e qui troviamo un verde pappagallo decisamente chiaro. Si noti anche il peso dello stato di conservazione del supporto cartaceo, quando non la stessa realizzazione della carta, che certamente ha un peso nella resa finale del colore
Detto questo, è evidente che le uniformi dei soldati non cambiavano ogni anno; cambia vicerversa la resa del colore sugli “Almanach“.
Insomma, anche un confronto diacronico sulla stessa fonte non aiuta molto nella scelta del “corretto” tono di verde… ammesso che esistesse veramente un “corretto” tono! E, se esisteva, quale scegliere fra quelli illustrati?
Proviamo alllora a prendere in considerazione altre fonti, come una tavola dei colori reggimentali databile con ogni probabilità al 1815 (a destra).
Come si vede, il verbe pappagallo è decisamente chiaro, assomigliando (e sottolineo “assomigliando”) a quello che compare negli anni 1791, 1803, 1810.
Potrebbe forse essere il tono di verde che effettivamente si poteva vedere sulle unifomi dei soldati?
Elemento piuttosto interessante è che questo tono chiaro del verde pappagallo compare anche nella tavola dei colori reggimentali pubblicata nel 1815, collegata al volume dello “Schematismus“, il che ovviamente ne rafforza la veridicità: due fonti coeve, per quanto collegate, riportano sostanzialmente lo stesso colore.
In questo nostro peregrinare per “Almanach” e “Schematismus“, l’ultima immagine ritrovata è del 1838, dove il verde pappagallo è così chiaro da poter essere quasi consierato un verde acqua.
Vediamo ora un’altra fonte visuale: le (poche) immagini che abbiamo riguardanti l’uniforme del 26°.
A B C D
Tutte le immagini mostrano la stessa uniforme, quella pre-riforma del 1798, ma tutte e tre riportano un diverso tipo di verde: da quello pallido dell’immagine A, a quello giallastro della B, a quello più scuro della C e, infine, a quello più intenso della D. Se per l’immagine A non sappiamo la data di realizzazione, per la B siamo più fortunati: si trova all’interno della collezione di immagini realizzata nel 1793 dalla casa editrice Carlo Artaria di Vienna, solitamente specializzata nella pubblicazione di spartiti e opere musicali (pubblicò Mozart, Haydn, Boccherini), sotto il titolo “Schema aller Uniform der Kaiser. König. Kriegsvölkern” L’immagine C è invece tratta dall’opera “Geschichte und Bildliche Vorstellung der regimenter des Erzhauses Oesterreich” edita nel 1796 sempre a Vienna. L’ultima immagine è stata ricavata dall’opera “Accurate Vorstellung saemtlichen Kaiserkoniglich-Ungarischen Armee” e risale al 1770, dunque prima del periodo di nostro interesse, ma comunque importante perchè testimonia una fase storica della vita del reggimento.
Con un notevole salto cronologico, l’ultima immagine che abbiamo del 26° risale al 1852, ma è fortemente dubbia. Infatti il colore è un verde così scuro che solo l’aggiunta a mano dell’indicazione del reggimento (peraltro pare inoltre barrata, come a indicare una correzione…) ci permette di capire che si tratta proprio del 26°. A nostro parere si tratta di un errore di assegnazione.
Questo dubbio si accresce enormemente prendendo in considerazione l’unico campione originale che abbiamo ritrovato di verde pappagallo, risalente, come detto, ad un periodo tardo, post 1866.
Per le ragioni sopra esposte (cioè di una oggettiva difficoltà di interpretazione delle fonti documentarie e quindi di una scelta coerente) questo campione di stoffa ha rappresentato per noi il punto di partenza per cercare di riportare in vita il “misterioso” verde pappalgallo, o pappelgrun, del k.k.I.R. 26.
Nella nostra scelta, abbiamo deciso tuttavia di adottare un tono un po’ chiaro sulla base delle seguenti considerazioni:
1 – Sappiamo che i colori post-1866 sono più intensi di quelli di inizio ‘800.
2 – Sappiamo che vi era una differenza fra i colori presenti sui testi e quelli che effettivamente si vedevano “sul campo”, con questi ultimi che si presentavano più o meno decisamente più chiari.
3 – Anche le fonti documentarie testimoniano l’esistenza di un tono di verde più chiaro.
Avendo ovviamente a che fare oggi come oggi con colori sintetici abbiamo dunque voluto privilegiare proprio quest’ultimo aspetto, cercando di restituire a chi ci vede il tono di verde pappagallo che molto probabilmente doveva comparire sulle uniformi dei soldati dell’epoca.
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