Articolo tratto dalla conferenza del 28 ottobre 2009 presso l’ aula comunale di Milano-zona3 (in collaborazione con AMiCi deL Croff – onlus)
Liberamente tratto dalle memorie di Madame Fusil: “entro sul palco, con abito di seta e stola di pelliccia, recitando a memoria: sono Madame fusil, un’ attrice teatrale e vengo da Parigi. Dopo la pace di tilsit la francia si è riavvicinata alla Russia e così insieme alle mie amiche siamo partite alla volta di Mosca, e sotto la direzione di madame de Bursay abbiamo fatto diversi spettacoli. All’ arrivo delle truppe napoleoniche i russi cominciarono la ritirata e ci abbandonarono al nostro destino. Veniamo prima derubati dai soldati dello zar e poi, per paura di essere massacrati dai civili e dai galeotti liberati dal governatore della città, ci barrichiamo in casa. i primi soldati della Grande Armée non sanno fare di meglio che derubarci del poco rimasto, senza curarsi del fatto che eravamo francesi anche noi. Quando scoppiano gli incendi a Mosca per poco la polizia russa non ci brucia vivi nella casa dove ci eravamo rifugiati: solo le urla mie e della mia amica ci salvano perché riusciamo ad attirare l’ attenzione di un brav’ uomo, il sergente Bourgogne, che riesce a salvarci e con noi il giovane attore e tuttofare di 13 anni e anche gli altri. riesce anche a mettere in salvo le poche cose rimaste come i vestiti di Cesare, l’ elmo di Bruto e la corazza di Giovanna d’ Arco. Per fortuna napoleone ci prende sotto la propria personale protezione e ci permette anche di fare 11 spettacoli alle truppe, durante la permanenza a Mosca. Abbiamo anche qualche piacevole colpo di fortuna, per cosìdire: una mattina siamo stati invitati alla colazione del Generale Delaborde: abbiamo indossato i nostri abiti migliori: seta da Parigi e scialli di cachemire …. Purtroppo si avvicina il tempo della ritirata francese e decidiamo di lasciare anche noi Mosca. Forse così riusciremo a tornare nella nostra bella francia. Veniamo autorizzate ad unire le nostre carrozze ai convogli dei militari. dobbiamo affrontare la fame, il freddo e i cosacchi. Madame de Bursay ha la carrozza distrutta da una palla di cannone a e esce senza un graffio. Salirà su un carro dell’ artiglieria che le concede il passaggio. Anche io ho dovuto abbandonare la mia carrozza e le mie compagne di avventura, e ho viaggiato su un calesse del quartiere generale, fino a Smolensk e riesco a passare il Dnieper grazie al generale Laribosiére.
I cavalli però muoiono di fatica e bisogna proseguire a piedi. tutti, tutti quanti a piedi se si vuole tornare a casa. Il freddo è troppo forte, mi accascio e svengo quasi…è piacevole la sensazione di addormentarsi ed è dolce scivolare nell’ oblio……mi salvano il maresciallo Lefebre e il barone Desgesnettes che mi hanno riconosciuta, dopo che avevano assistito alle nostre rappresentazioni a Mosca. Mi massaggiano mani e piedi, e mi portano in una capanna. Qualche pelliccia o meglio pezzo di pelliccia, mi avvolge il corpo e mi scalda: il sangue ricomincia a circolare, la vita ricomincia… ripartiamo in fretta e riesco a passare la Beresina sulla carrozza del maresciallo Lefebre, giusto qualche attimo prima della rottura del ponte: tanti altri sono inghiottiti nelle fredde e gelide acque.
Ci fermiamo a Wilna, dove il figlio del maresciallo Lefebre sta male: decido di fermarmi e di fargli da infermiera: glielo dovevo al padre. Le truppe francesi proseguono e ci lasciano indietro. I russi quando arrivano sono gentili con me anche se sono loro prigioniera: ho la fortuna di incontrare il generale Kutuzow, che mi prende sotto la propria ala protettiva ed è tanto gentile da darmi 800 rubli per tornare in francia e portare con me una bambina trovata nella neve, abbandonata. Torno a Parigi nel 1814 e sono una delle poche persone che possono vantarsi d’ aver visto due cose straordinarie: i francesi a Mosca e i russi a Parigi!” Queste poche parole tratte dalle memorie di Madame Fusil sono solo un piccolo e molto delicato esempio di ciò che accadde in quel periodo in russia: freddo, fame, disperazione e la brutalità dei cosacchi. Per tutti: militari e civili, uomini e donne. Molte stampe e quadri hanno rappresentato questa situazione. Perché duecento anni fa molte donne seguivano gli uomini nelle campagne militari e perfino nelle battaglie. Sono le vivandiere, e anche le prostitute certo, ma ci sono anche tante donne che seguono il proprio uomo in giro per l’ europa e quindi sono le compagne, le mogli, che diventano di volta in volta, infermiere, consolatrici, soldatesse .
Le vivandiere in particolar modo dividono in tutto e per tutto la sorte dei soldati durate le campagne militari.
In periodo rivoluzionario la loro presenza dipende dalla volontà dei comandanti dei corpi militari, poi nel 1793 un decreto ne riconosce ufficialmente il ruolo: sono 4 per battaglione e due per squadrone di cavalleria.
Durante il periodo imperiale è necessario sorvegliare il numero delle vivandiere reggimentali, perché il titolo di vivandiera che dà diritto di presenza tra i militari, è ambito e conteso anche dalle prostitute.
Nelle memorie del sergente Bourgogne, lo stesso che incontrò a Mosca madame fusil la nostra attrice di prima, se ne trova qualche ritratto: “[..]la vivandiera Marie era una giovane bella belga, il cui marito, maestro d’ armi ma pessimo soggetto, fu ficilato per furto nel 1811 davanti ad Almeida in Spagna. due mesi dopo, la giovane vedova si era già consolata e risposata (come ci si sposa nell’ armata), con un sottufficiale della Giovane Guardia. diventata vivandiera di questo reggimento, partecipò alla campagna di russia in cui perse cavallo, vettura e per la seconda volta, marito. Fu ferita nel 1813 nella battaglia di Lutzen alla mano destra da una palla di moschetto, mentre dava da bere ad un ferito. Terminò la sua “carriera” a Waterloo, prigioniera degli inglesi.”
Nelle memorie del capitano Coignet, ci sono diversi ricordi: “ricordo un vecchio soldato con 15 anni di servizio. La sua donna era una vivandiera che aveva perso tutto: vettura, cavalli, bagagli, così come 2 figli piccoli, morti nella neve. non le restavano che la disperazione ed il marito morente. Questa sfortunata, ancora giovane, era seduta nella neve, tenendo sulle ginocchia la testa del marito moribondo e senza conoscenza. Non piangeva più, perché il dolore era troppo grande. Dietro di lei, una ragazza bella come un angelo la sua unica figlia rimasta, era appoggiata alle sue spalle. Avevano dei cappotti da soldato su vestiti strappati e malridotti e pelle di montone sulle spalle per ripararsi dal freddo. nessuno poteva più consolarle: il reggimento non esisteva più”.
E ancora: “una era seduta su uno zaino militare. teneva la testa tra le mani, i gomiti appoggiati alle ginocchia; un vecchio cappotto grigio da soldato sopra un vestito di seta a pezzi la difendevano dal freddo. Un berretto di pelle di montone in parte bruciato, le copriva la testa ed era tenuto fermo da un brutto foulard.
Un’ altra aveva come abito un cappotto blu di un soldato della guardia e sotto non le era rimasto più nulla, sopra stracci di pelle di montone fermati da una corda. In testa un bonnet di un granatiere morto”.
Dalle memorie di Ross, medico della Grand Arméè, sentiamo questo triste racconto: “devo raccontarvi una scena alla quale ho assistito al momento del passaggio della Beresina e che merita di essere immortalato dal pennello di Raffaello. Ne tremo ancora. Una giovane e bella donna di circa 25 anni, maritata ad un colonnello francese, aveva perso il marito durante un combattimento qualche giorno prima. Era a cavallo vicino a me, aspettando il suo turno per passare. Indifferente a quello che accadeva intorno a lei, sembrava concentrare tutta la sua attenzione sulla figlia, una bella bimba di 4 anni, che era sullo stesso cavallo. Aveva tentato più volte vanamente di attraversare il fiume ed appariva in preda al più grande scoraggiamento. Non piangeva più ed il suo sguardo era fisso ora al cielo, ora sulla figlia. La sentii mormorare <Mio dio! Come sono miserabile. non riesco più neppure a pregare!>. nel medesimo istante una palla di cannone la colpì ad una gamba, al di sopra del ginocchio ed abbattè anche il suo cavallo. Allora, con la tranquillità della disperazione, abbracciò la bimba che piangeva, si sfilò la giarrettiera intrisa di sangue e strangolò la figlia. Poi preso nelle proprie braccia il cadaverino, si stese a fianco del suo cavallo esenza un lamento attese la morte. Dopo poco fu calpestata dai cavalli di coloro che si avvicinavano al ponte.”
Da Segur una nota più piacevole, apprendiamo invece che: “Alla Beresina nel novembre 1812 vidi delle donne in mezzo ai ghiacci, con i propri figli tra le braccia, già sommersi dalle acque. Alcuni di questi bimbi si salvarono e in particolare una vivandiera del 33° reggimento di linea attraversò la Beresina a cavallo con l’acqua fino al collo, tenendo le briglie dell’animale con una mano e nell’altra un bimbo di dieci mesi. Il bimbo sopravvisse e possiamo affermare trattarsi di un miracolato, perché durante la confusione della ritirata, la madre l’ aveva perso per due volte e per due volte ritrovato.” infine lasciatemi dire qualcosa sulle donne soldato. Una figura sicuramente non comune e ma decisamente affascinante è quella delle ‘’donne soldato’ nelle campagne napoleoniche.
La storia, fatta di documenti, lettere, aneddoti, ricorda Marie-Jeanne Schellinck che, infiammata dagli ideali della rivoluzione francese, si fece avanti per dare il suo contributo, determinata a combattere per i compatrioti e a trasformare i suoi ideali in realtà. Marie-Jeanne, nata in Belgio nel 1757, dopo aver partecipato al movimento di liberazione del suo paese, riuscì a entrare nell’ esercito di napoleone, nel 1792, travestita da uomo. Combattè valorosamente a Jemappes dove viene ferita e promossa sottotenente. Partecipò in seguito alla battaglia di Arcole rimanendo nell’ Armée fino al 1807, dopo aver combattuto ad Austerlitz e a Jena; in totale ben 12 campagne napoleoniche. Per il coraggio dimostrato durante tutte le campagne, Maria sarà decorata della Legion d’ onore da Napoleone stesso nel giugno 1808, davanti a tutti i soldati schierati sull’attenti; napoleone la citerà come esempio, con le seguenti parole: «inchinatevi al cospetto di questa
donna straordinaria, perché è una delle glorie del nostro impero». Mori’ nel 1840 a 83 anni.
Sicuramente la più famosa fu «Mademoiselle Sans- Gene» (La Signorina senza pudore) da cui e’ stato liberamente tratto anche un film con Sofia Loren nel 1961, regista il francese Christian Jaque. Il vero nome era Marie Therese Figueur. Rimasta orfana viene allevata da uno zio militare e si arruola a 19 anni nell’ esercito repubblicano. Nel 1793 partecipa all’ assedio di Tolone dove viene punita da un ufficiale per aver tardato a consegnare un messaggio: “quel piccolo moretto” lo definirà, con un certo rancore, Marie Therese. Era il capitano Bonaparte. Marie Therese ai salotti preferisce i campi di battaglia, e dopo poco si arruola nuovamente nei dragoni. E’ ad Austerlitz nel 1805 e a Jena nel 1807. Nel 1809 viene aggregata alla Giovane Guardia e destinata in Spagna a Burgos dove combatterà fino al 1812 quando sarà fatta prigioniera e inviata in inghilterra
da dove rientrerà solo nel 1814. non rivedrà più napoleone, morirà a 85 anni con il solo rimpianto di non aver ricevuto dalle sue mani la Legion d’ onore.
Troviamo anche Regula Engel, che sposata giovanissima con un ufficiale svizzero, passa alle dipendenze dell’esercito napoleonico. Con il marito resta fedelissima all’ imperatore e così i 9 figli sopravvissuti (dei 21 parti avuti). Due gemelli seguiranno napoleone a Sant’ elena mentre altri due figli con un cognato moriranno nella battaglia di Marengo. E’ stata presente a tutte le grandi battaglie dalla baia di Abukir alla battaglia di Jena.
Ricordiamo anche Virginie Ghesquire, che si sostituì al fratello, arruolandosi nel 1806 e servendo nell’ armata fino al 1812 anno in cui, scoperta la sua identità, fu rispedita a casa. raggiunse il grado di sergente.
Infine, Madame Poncet, che invece si arruolò volontaria negli ussari e partecipò alla carica di Murat nella bufera di Eylau e fu in seguito ferita a friedland. Combatterà ancora a Waterloo dove, nuovamente ferita, sarà fatta prigioniera e internata in Irlanda.
Come si può vedere le donne c’ erano anche allora, in un mondo che sembrava essere più maschilista di oggi, erano sempre al fianco degli uomini, a condividerne il destino.
[Rossana Belotti]